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Cronaca

Giornalista sondriese bloccato in Ucraina, Kiev: "Collabora con il nemico"

Le autorità ucraine hanno revocato il permesso ad Andrea Sceresini. È in attesa di essere "interrogato" dai servizi segreti

Bloccato a Kiev in attesa di esser interrogato dai servizi segreti ucraini. È quanto accade al giornalista sondriese Andrea Sceresini da una decina di giorni, bloccato senza documenti perchè tacciato di "collaborare con il nemico". Insieme a lui il collega freelance Alfredo Bosco. Entrambi da anni si occupano di Ucraina e del conflitto nel Donbass e sono considerati tra i più autorevoli esperti in materia. Negli ultimi 12 mesi numerosi loro servizi, anche sotto copertura, hanno avuto rilevanza internazionale, tanto esser pubblicate dalle più autorevoli testate italiane e non solo: da Rai, LA7, Mediaset, il Manifesto, alla tv tedesca Rtl, fino all’Espresso, a Il Fatto Quotidiano, le Figaro Magazine, la Croix, solo per fare degli esempi.

"Dal 2014 seguiamo il conflitto in Ucraina. Il 6 febbraio, mentre eravamo di ritorno dal fronte di Bakhmut, dove abbiamo realizzato un reportage per Rai3, il ministero della Difesa ucraino ci ha notificato la sospensione degli accrediti giornalistici. La sospensione degli accrediti - regolarmente rilasciati nel marzo 2022 - comporta l’impossibilità di muoversi liberamente nel Paese. Specie nelle zone vicino al fronte, e il rischio concreto di essere arrestati al primo posto di blocco.  Di fatto, questo provvedimento ci ha messo nella totale impossibilità di lavorare e ha posto seriamente a rischio la nostra incolumità", spiegano i due.

"Le voci che si sono sparse tra i fixer ucraini (collaboratori locali, in termini di logistica e traduzione, ndr) che lavorano nel Donbass - e di cui abbiamo prova scritta - ci indicano come 'collaboratori del nemico' - un’accusa che in zona di guerra può avere conseguenze molto serie. L’unica notizia ufficiale che ci è giunta, nonostante i molti solleciti effettuati anche tramite la nostra ambasciata, riguarda un ipotetico 'interrogatorio' al quale dovremmo sottoporci, e che dovrebbe essere eseguito dagli uomini dell’Sbu, il servizio di sicurezza ucraino".

Inizialmente l''interrogatorio' avrebbe dovuto svolgersi a Kramatorsk, dove i due giornalisti italiani si trovavano il 6 febbraio. "Abbiamo subito fornito all’Sbu i nostri numeri di telefono e il nostro indirizzo, chiedendo che il colloquio potesse avere luogo il prima possibile. Dopo cinque giorni di inutile attesa (trascorsi barricati in casa, in una città peraltro spesso bombardata dalle artiglierie russe), abbiamo deciso - dietro consiglio dell’ambasciata - di spostarci a Kyiv, dove hanno sede gli uffici centrali dell’Sbu: l’'interrogatorio', ci è stato detto, non si sarebbe più svolto a Kramatorsk ma nella capitale. Da allora nulla è più successo. Nessuna notizia dall’Sbu, che abbiamo anche fatto contattare - inutilmente - da un avvocato ucraino; nessuna notizia dalla nostra ambasciata, né dalla Farnesina".

Sceresini e Bosco non sono stati gli unici ad esser colpiti da un tale provvedimento. Il 14 febbraio un altro collega, Salvatore Garzillo, pure lui con alle spalle molti mesi di esperienza in Ucraina, è stato addirittura impedito di entrare nel Paese attraverso la frontiera polacca, in quanto "non gradito". Nemmeno a lui sono state fornite ulteriori spiegazioni. Un’esperienza simile era toccata, a febbraio e aprile 2022, anche a Lorenzo Giroffi, che oggi lavora per la Rai. Secondo quanto riferito da fonti governative italiane nella giornata di venerdì 17 febbraio, i giornalisti italiani bloccati in Ucraina nelle stesse condizioni sarebbero "sette o otto".

Sospetti

Seppur dall'autorità ucraine non arrivino spiegazioni, i giornalisti hanno cercato di dare un senso a quanto gli sta accadendo. "Il sospetto - sulla base anche delle voci che sono circolate tra i fixer - è che alla radice di questi provvedimenti vi sia la nostra esperienza di lavoro giornalistico nelle repubbliche separatiste, che, come centinaia di altri colleghi, abbiamo visitato più volte a partire dal 2014. I nostri servizi dell’epoca riguardavano - tra le altre cose - il business delle miniere illegali gestite dai leader filorussi, la presenza in loco di volontari di estrema destra, anche italiani, e le faide interne ai governi delle repubbliche non riconosciute di Donetsk e Lugansk. Parallelamente - avendo peraltro ottenuto un apposito tesserino dell’Sbu - in quegli anni abbiamo ovviamente visitato il fronte anche sul lato ucraino, nella convinzione che quel conflitto, all’epoca dimenticato, andasse raccontato a tuttotondo e nel modo più onesto possibile".

"Dal momento che anche Garzillo e Giroffi, esattamente come noi, sono stati in passato nelle aree controllate dai separatisti, viene logico pensare che i provvedimenti in questione mirino a colpire tutti quei giornalisti che non si sono limitati a frequentare i territori controllati da Kyiv - e che dunque, nonostante abbiano anche realizzato inchieste scomode nelle zone filorusse, vengono automaticamente considerati "collaboratori del nemico". Si tratterebbe, insomma, di una operazione di censura preventiva ed epurazione, condotta peraltro con metodi a dir poco kafkiani", proseguono.

Non è comunque la prima volta che i freelance vengono banditi dall'Ucraina. "Già nel 2015, con Lorenzo Giroffi, avevamo subito un simile provvedimento: all’epoca fummo accusati di essere entrati illegalmente nel Donbass passando dalla Russia. Nonostante i nostri passaporti - e l’accredito ATO rilasciato dal ministero della Difesa di Kyiv che ci era stato rilasciato - testimoniassero l’esatto contrario, nei nostri confronti era stato spiccato un bando che per cinque anni ci vietava di rimettere piede in Ucraina. Scontata questa "condanna", per quanto ingiusta, eravamo convinti di poter tornare a lavorare nel Paese, visto che è dal 2014 che ne seguiamo le vicende. Così è stato fino a dieci giorni fa".

A favore di Sceresini e Bosco si è espresso anche l'Ordine dei giornalisti. "Chiediamo al Ministero degli Esteri di attivarsi al più presto per accertare la situazione e garantire ai due connazionali condizioni di sicurezza e agibilità per poter svolgere il loro lavoro”, ha dichiarato Carlo Bartoli, presidente del Consiglio nazionale.

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