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Bozzetti sondriesi. Cume l’è grand ‘l mund da Puncéra

La frazione che meglio domina la città dall’alto è Ponchiera. Sembra un vero terrazzo sporgente sopra i tetti di Sondrio. È un piccolo borgo solivo, ameno, con le case raggruppate intorno alla chiesa inaugurata nel 1506 e dedicata alla Santissima Trinità.

     Mi piace osservare Ponchiera quando mi capita di uscire dalla Valmalenco. Appare sulla sinistra con le sue abitazioni appese alla montagna come un grappolo illuminato dal sole. E mi viene sempre in mente quella storiella che mi raccontava nonno Celso. Correvano gli ultimi anni dell’Ottocento. Una donna di Lanzada, sulla trentina, era dovuta andare a Sondrio per la prima volta in vita sua. Infatti, non era mai uscita dalla valle del Mallero. Quando giunse a Ponchiera (a quell’epoca si passava da Arquino), guardò laggiù la minuscola cittadina, la fuga di prati verso l’Adda ed esclamò – Cume l’è grand ‘l mund! – Dopodiché cadde svenuta. 

     I ricordi più belli che mi legano a Ponchiera riguardano gli anni ’80. Allora divenni amico di don Paolo Trussoni, il parroco. Oggi non c’è più ma il ricordo di lui rimane indelebile. 

    La domenica, nel tardo pomeriggio, mia moglie ed io (con i nostri tre bambini) andavamo in quella casa parrocchiale. Eravamo un gruppetto di famiglie sondriesi e ci eravamo messi in testa di fare un percorso di amicizia e di ricerca spirituale. Era un’iniziativa spontanea, non agganciata alla pastorale ufficiale. Ci assistiva solo quel prete che era innanzitutto un amico. Qualche volta cenavamo insieme, in modo frugale, prima di tornare alle nostre case.

     Fu un’esperienza bellissima, durata sei o sette anni. Fui felice di frequentare don Paolo, uomo sensibile e riservato, molto umano, semplice ma di grande cultura, dedito a una testimonianza evangelica che definirei profetica. Oggi è sepolto nel cimitero del suo paese, Fraciscio; ma penso che i ponchieraschi non abbiano smesso di apprezzarlo e di ricordarlo. 

     Capitava che ogni tanto, la sera dopo cena, salissi a Ponchiera per “ciacolare” un po’ con lui. Allora mi accoglieva nel suo studiolo pieno di libri e immancabilmente mi offriva un bicchiere di quel suo aspro vinello, ricavato dalla vigna parrocchiale.

Questo racconto è scritto da Giuseppe Novellino e fa parte della rubrica "Bozzetti sondriesi".

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