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Bozzetti sondriesi. La chiesa di San Rocco

Fu costruita nel 1513 come ringraziamento a Dio per avere salvato il borgo di Sondrio dalla peste. Per voto, il Comune stabilì di celebrare ogni anno la festa di San Rocco, patrono degli appestati e dei lebbrosi.

     Per tanto tempo la chiesa rimase fuori le mura, in aperta campagna, e fu luogo di preghiera e solitario pellegrinaggio. Ma c’è da ricordare anche qualcosa di brutto: sul piazzale antistante, vennero bruciate delle streghe lungo il corso del XVII secolo.

     Tipica è la sua facciata a capanna con rosone semicircolare, sotto il quale si apre l’ampio porticato sorretto da colonne. L’interno è a una sola navata, piuttosto spoglia e minimalista. Solo l’altare maggiore appare riccamente decorato, e sopra di esso giganteggia la tela che raffigura la Vergine con il Bambino e i santi Rocco e Sebastiano, opera di Cipriano Valorsa (1594)

     Più della Collegiata, la chiesa di San Rocco è stata teatro della mia giovanile pratica religiosa. Ha visto la mia crisi di fede adolescenziale e il suo felice superamento. Sono cresciuto, infatti, sotto l’ala dei salesiani che sono stati, e sono, i titolari e i custodi di quella sacra costruzione.

     Oggi li ricordo con affettuoso rispetto e un pizzico di nostalgia. Ma quando ero giovane, e avevo smesso di andare all’oratorio, mi piaceva ripetere con una certa acredine: – La mia fede può considerarsi vitale e in buona salute, nonostante la formazione salesiana.

     Nella penombra di quell’ampia navata, seduto nel banco vicino ad altri bambini, ascoltavo il sacerdote che raccontava i sogni di Don Bosco. Alcuni li trovavo terrificanti. Forse accesero in me quel piacere di leggere racconti horror, che accora mi accompagna. 

     Qui feci le mie prime confessioni, intruppato con altri compagni, più grandi e più piccoli di me. 

     Una volta (era un sabato pomeriggio) il prete mi disse: 

     – Ecco, adesso la tua anima è bianca come la neve. Devi conservarla così fino a domani mattina, quando farai la comunione. 

     Non vi dico l’ansia che mi misero addosso quelle parole. Il giorno successivo, mi sentivo il peggiore peccatore che avesse mai calcato il suolo terrestre e sudai le sette camicie per convincermi a inginocchiarmi, con le mani giunte, a ricevere l’ostia sulla lingua. 

     In quella chiesa dissi il coniugale “sì” alla mia cara Aurelia. Era un torrido pomeriggio del luglio 1979. Con i salesiani non avevo più niente a che fare, ma fui commosso al pensiero che il mio matrimonio venisse celebrato nel luogo dove avevo pregato da bambino.

Questo racconto è scritto da Giuseppe Novellino e fa parte della rubrica "Bozzetti sondriesi".

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