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Bozzetti sondriesi. I bambini di una volta in viale Milano

Dal curvone in discesa, dopo il ponte di piazza Garibaldi, corre rettilinea la via De Simoni che poi diventa viale Milano. 

     Ha sempre rappresentato la principale strada d’accesso alla città. Mio nonno si ricordava quando il primo tratto (per quelli che entrano nell’abitato del capoluogo) era addirittura sterrato. Vi si rincorrevano frotte di bambini che d’estate potevano essere anche scalzi. Altri tempi, lontani anche da quelli della mia fanciullezza: tempi in cui si andava in carrozza, in velocipede e magari si poteva incontrare una delle due automobili possedute da notabili sondriesi, vere e proprie carrozzelle senza cavalli e con i fanali a lanterna. 

     Oggi, quelli che arrivano a Sondrio transitano per lo più sulla vecchia circonvallazione oppure accedono da via Vanoni, uscendo dalla tangenziale. Non ti vengono più incontro frotte di bambini vocianti, perché sono scomparsi. Quelli che fanno le elementari, infatti, non si vedono più in giro da soli o in gruppi, come accadeva ancora negli anni ’50 e ’60. Sono, nel vero senso della parola, sequestrati dai loro stessi genitori, che pianificano le giornate con attività più disparate, prevalentemente di carattere sportivo. Secondo un’assurda tendenza moderna, infatti, il bambino non deve mai cazzeggiare o stare in ozio.

      Da ragazzino, non frequentavo quella zona della città. Mi ci recavo qualche volta con nonno Celso, quando andava a lavorare la vigna detta della “Brambila”, sopra l’attuale chiesa della Beata Vergine del Rosario. Era un podere dei signori Rota, affidato a lui, buon vignaiolo. Allora la mia vista spaziava sui tetti delle nuove case popolari, dette appunto case di viale Milano. Mi sembravano un po’ aliene, lontane da quelle della mia via Nazario Sauro o del centro storico, dove abitavano i nonni. 

     Mi affascinava la Casa Cantoniera, situata alla fine di via De Simoni (per chi viene dal centro), al chilometro 37 della statale dello Stelvio. Visto che da lì, per arrivare a casa mia, ci correva ancora quasi un chilometro, sapevo che per Colico bisognava percorrere 38 chilometri. A quell’epoca mi interessava, perché provavo una certa curiosità per la geografia e per le vie di comunicazione. 

     Quella casa cantoniera, oggi, c’è ancora, ma fa pena a guardarla. È abbandonata, con gli intonaci scrostati. Andrebbe invece ristrutturata e conservata (magari adibita ad altri usi) proprio per non dimenticare quel tempo che fu.

Questo racconto è scritto da Giuseppe Novellino e fa parte della rubrica "Bozzetti sondriesi".

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