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Domenica, 28 Aprile 2024
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Bozzetti sondriesi. Il convitto nazionale

Mio padre era di origini irpine. Arrivò a Sondrio nel 1946, incontrò una ragazza del posto, la sposò due anni dopo e nel 1949 nacqui io. 

      Giunse in questo piccolo capoluogo alpino con l’idea di lavorare nella scuola elementare. Possedeva, infatti, il diploma di maestro. La sua famiglia era contadina e lui, unico dei sei figli, aveva potuto studiare. 

     Il suo primo incarico fu presso il Convitto Nazionale, nel ruolo di educatore (allora si chiamava istitutore). 

     Si “arrampicava fin lassù” per un misero stipendio che gli consentiva giusto di campare, di acquistare nei negozi la sua razione di cibo indicata sulla tessera annonaria. In Comune, addetta al rinnovo di detto documento, c’era una ragazza sondriese originaria di Castione. Così, di tessera in tessera, i due si trovarono in perfetta sintonia. E da cosa nacque cosa. 

     Immagino mio padre affacciarsi alle finestre del Convitto, con una sigaretta tra le dita, e spaziare con lo sguardo sui tetti della città. Quello che vedeva era poca roba, rispetto a oggi: tetti di vecchie case, sagome di modesti palazzi ottocenteschi o “inizio secolo”, qualche costruzione recente, la Collegiata con la Torre Ligariana, e tutt’intorno una fuga di prati che separavano l’area urbana dall’Adda. E immagino pure che guardasse verso il Municipio, dove in quel momento stava seduta a lavorare la sua amata Vanda. Poi gettava il mozzicone di sotto, sospirando, chiudeva la finestra e tornava a sorvegliare i ragazzi intenti a studiare.

     Una parte del grande edificio fu sede di scuole. Venne ospitato il liceo classico “Piazzi”, una scuola media, la succursale dell’Istituto Professionale “Besta”. In quest’ultima lavorai, come insegnante di italiano e collaboratore del preside, nell’anno scolastico 1979/80. Mi venne in mente mio padre e colsi l’opportunità di elaborare una piccola, ma non peregrina, riflessione su quello che è il corso dell’esistenza umana.

     Un giorno dei tempi recenti, salendo da Scarpatetti per puro piacere, incontrai un amico che scendeva dal Convitto. 

     – Ciao – lo salutai. 

     – A passeggio? – fece lui, ammiccando. 

     – Sì, me ne vado nelle zone alte a prendere un po’ di sole. E tu?

     Passò un’ombra sul suo viso e, scherzando, mi disse: 

     – No, non vado a spasso, purtroppo. Sto giusto venendo dall’”Agenzia delle Uscite”. 

     Sorrisi, divertito.

     Oggi, infatti, in una parte di quel complesso che si chiamava Convitto Nazionale, si riscuotono le imposte. 

Questo racconto è scritto da Giuseppe Novellino e fa parte della rubrica "Bozzetti sondriesi".

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