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L'anniversario

A 10 anni dalla beatificazione, una Santa Messa votiva in onore di Nicolò Rusca

Sarà celebrata venerdì 21 aprile dal vicario generale della diocesi di Como, monsignor Ivan Salvadori e da tre dei successori dell'arciprete di Sondrio

Il 21 aprile, cioè venerdì prossimo, ricorreranno dieci anni dalla celebrazione del solenne rito di beatificazione di Nicolò Rusca. Dopo che, il 19 dicembre 2011, papa Benedetto XVI aveva autorizzato l’allora Congregazione delle Cause dei santi a promulgare il decreto riguardante il martirio del Rusca, ucciso in odio alla fede a Thusis il 4 settembre 1618, si lavorò oltre un anno per preparare la grande giornata del 21 aprile 2013. All’indomani del 450° anniversario della nascita - avvenuta il 20 aprile 1563 a Bedano, nell’attuale Canton Ticino - del sacerdote che fu arciprete di Sondrio dal 1590 al 1618, a Sondrio giunse il cardinale Angelo Amato, allora prefetto della Congregazione delle Cause dei santi, per presiedere il partecipato rito in piazza Garibaldi, durante il quale fu data lettura della lettera apostolica con cui papa Francesco includeva il Rusca nel novero dei Beati, offrendone la figura al culto pubblico dei fedeli, in modo particolare delle diocesi di Como, della quale fu sacerdote, di Lugano, presso la quale nacque, e Coira, nel cui territorio subì il martirio.

A dieci anni dalla beatificazione, venerdì 21 aprile, alle 18, sarà celebrata nella collegiata di Sondrio una Messa votiva in onore del Beato Nicolò Rusca. A presiedere il rito, sull’altare che custodisce le spoglie mortali del martire, sarà il vicario generale della Diocesi di Como, monsignor Ivan Salvadori. Con lui concelebreranno tre successori del Rusca quali arcipreti di Sondrio: don Christian Bricola, attuale parroco della città, e i suoi due immediati predecessori, monsignor Marco Zubiani, parroco al tempo della beatificazione, e monsignor Valerio Modenesi. Alla Messa, che sarà animata dal canto di alcuni membri della Corale Nicolò Rusca, saranno poi presenti altri sacerdoti e sono invitati a unirsi tutti i fedeli che lo desiderano.

Il Beato

Nicolò Rusca nacque il 20 aprile 1563 a Bedano, nei pressi di Lugano, in territorio posto, a quel tempo, sotto la giurisdizione della diocesi di Como. I genitori, Giovanni Antonio, di professione notaio, e Daria, figlia del medico Giangiacomo Quadrio, ebbero cinque figli: Nicolò primogenito, Bartolomeo e Luigi, anch’essi preti diocesani, Margherita, monaca benedettina nel monastero di San Lorenzo a Sondrio, e Cristoforo, che portò avanti la discendenza con Giovanni Antonio e Carlo, a loro volta sacerdoti.

Dopo gli studi iniziali a Pavia e a Roma, Rusca frequentò per sette anni il Collegio Elvetico, fondato a Milano da Carlo Borromeo per la formazione di chierici provenienti dai Cantoni svizzeri. Venne ordinato prete il 23 maggio 1587. Il primo incarico, nel 1588, fu la cura della parrocchia di Sessa, nella pieve di Agno (attuale Canton Ticino), dove rimase per circa due anni.

In seguito, venne nominato arciprete di Sondrio, territorio dipendente dalla diocesi di Como, ma politicamente soggetto alle Tre Leghe Grigie (in seguito Canton Grigioni), che avevano occupato la Valtellina, con Bormio e Chiavenna, da ormai ottant’anni, ben consapevoli della sua importanza strategica. Permetteva, infatti, il collegamento diretto dei possedimenti spagnoli del Milanese con quelli del Tirolo e quindi con l’Austria, fino alla Germania e ai Paesi Bassi, da una parte, il collegamento della Repubblica di Venezia, avversario politico-militare del ducato di Milano, con gli Svizzeri e i loro alleati, fino alla Francia, dall’altra.

Nei quasi trent’anni di permanenza a Sondrio - dall’8 luglio 1591, quando prese possesso della parrocchia, al 1618 - Nicolò Rusca svolse esemplarmente il ministero: predicazione e scuole della dottrina cristiana, amministrazione dei sacramenti, istituzione di confraternite, in particolare quella del Santissimo Sacramento, rinnovamento dei luoghi sacri e delle suppellettili liturgiche, pietà unita a una condotta di vita che fosse «a edificazione de popoli», continuo studio. La riforma del clero, secondo quanto il concilio di Trento richiamava, da cui doveva derivare la più generale riforma dell’intera comunità cristiana - salus animarum prima lex est, la salvezza delle anime sia l’impegno e il criterio primo -, trovò in lui un modello di prete “rinnovato”.

Non di meno, fervente fu la sua azione a difesa della dottrina cattolica, mediante scritti e dispute - se ne ricordano almeno tre, tra il 1592 e il 1597 -, mossa dal desiderio di preservare e ravvivare la fede delle popolazioni della valle. Qui si andava diffondendo, grazie anche ai dominatori grigioni, in maggioranza passati alla Riforma, la predicazione di ministri protestanti, inizialmente per lo più esuli dall’Italia, e, successivamente, pastori di provenienza dai territori svizzeri quali Zurigo, Ginevra e Coira. Se da una parte le fonti documentarie attestano la sua fermezza e chiarezza quanto ai contenuti dottrinali e all’appartenenza ecclesiale, dall’altra emerge anche il suo sincero rispetto verso le persone di diversa fede, talora anche l’amicizia, ad esempio, con il pastore di Sondrio, Scipione Calandrino, con il quale ebbe anche uno scambio di libri, o con il governatore e storico grigione Fortunato Sprecher, che per due anni gli fu «familiare».

All’inizio del Seicento la situazione politico-religiosa interna alle Tre Leghe condusse lo Stato retico a un periodo di forte disorientamento. In reazione a un patto sancito tra i Grigioni e la Spagna, nel 1617, si era prodotto il “sollevamento in armi” di alcuni Comuni filo-veneti. Tale iniziativa assunse anche un chiaro connotato confessionale, individuando indistintamente quali nemici dello Stato sia i sostenitori della Spagna, sia alcuni cattolici più eminenti. Gli insorti, confluiti nei pressi di Thusis, istituirono un tribunale per i sospettati di tradimento. Iniziarono così processi sommari e faziosi, influenzati da alcuni giovani pastori riformati di tendenza radicale, presenti come “supervisori” ecclesiastici.

Ne fu vittima, tra gli altri, l’arciprete di Sondrio, che già aveva subìto due processi, nel 1608-1609, da cui era uscito completamente scagionato. Nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1618 venne sequestrato da alcune decine di uomini armati, scesi a Sondrio attraverso la Valmalenco, sotto la guida del pastore protestante Marcantonio Alba.

Condotto nei Grigioni, prima a Coira, poi a Thusis, il primo settembre fu processato, affermando sempre di essere innocente. Posto sotto tortura, morì la sera del 4 settembre 1618.

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