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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Enzo Gusmeroli, un ortopedico in Afghanistan

Il racconto di 83 giorni a Lashkar Gah, nel Centro "Tiziano Terzani" di Emergency

È sabato 1 ottobre 2016, quando Gusmeroli atterra a Kabul, Hamid Karzai International Airport, per raggiungere Lashkar Gah, destinazione finale, circa 620 km più a sud. «La mia prima missione, un vero e proprio salto nel buio».

Ad accoglierlo i colleghi afgani ed internazionali del Centro "Tiziano Terzani". «Un ospedale costruito e gestito da Emergency per vittime di guerra, civili e militari; con la sola eccezione dei bambini, fino ai 13/14 anni, ricoverati anche per traumi di altra natura». Un ospedale che, in accordo con le parti, a condizione di non essere un bersaglio, cura chiunque, senza distinzione di sorta. Un ospedale in cui si lavora con e per il personale locale.

«I colleghi afgani erano 8: 4 chirurghi, con un'esperienza di lavoro di 13 anni, e 4 specializzandi. Ed erano loro, con gli infermieri afgani, a gestire l'ospedale, l'attività; mentre noi, medici ed infermieri internazionali, avevamo una funzione di supporto, di coordinazione, di correzione; eravamo tutor, pronti ad intervenire se non erano in grado di gestire la situazione, a dare una mano se c'era molto da fare. Non eri lì, però, a fare il professore, non era "arrivo io e faccio tutto io"; no, operavano loro che hanno una formazione pratica notevole, hanno alle spalle anni di chirurgia d'urgenza su ferite da guerra, ma non una preparazione teorica, infermieristica e medica, come la nostra».

«Il primo mese io ho imparato da loro, perché sono cose che noi non abbiamo mai fatto; poi, una volta che capisci come funziona, come ci si muove, incominci a mediare le cose con il tuo modo di lavorare, con la tua intelligenza, e cerchi di applicare il tuo modo di lavoro alle regole che ci sono lì, paletti funzionali, perché lavori in un équipe e, così, riesci a muoverti meglio, tutti sanno cosa stanno facendo e cosa devono fare, poi, chiaro, in medicina c'è sempre l'imprevisto».

Una sinergia che funziona perché basata sul rispetto, reciproco. «Sei in un paese musulmano; devi rispettare le loro tradizioni, la loro cultura, le loro usanze, evitando di creare imbarazzi, o recare offesa. Se lo fai, loro ti accettano, ti riconoscono, ti rispettano».

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