rotate-mobile
Cronaca

Enzo Gusmeroli, un ortopedico in Afghanistan

Il racconto di 83 giorni a Lashkar Gah, nel Centro "Tiziano Terzani" di Emergency

Lashkar Gah, provincia di Helmand, Afghanistan. Una distesa di case dal tetto piatto, tinte dei colori aridi della terra, su cui soffia la sabbia del deserto. Vie e strade che si incrociano, a formare una scacchiera su cui c'è chi gioca alla guerra. Una città che sorge dove i fiumi Helmand e Arghandab si incontrano ad irrigare una vasta oasi feconda, che gli uomini coltivano.

Lashkar Gah significa "caserme", perché fu luogo strategico ed accampamento militare, terra di confine e di passaggio, oggi teatro di un conflitto senza epilogo, né vinti, né vincitori. I talebani e i governativi si fronteggiano; giorno e notte si scontrano. Nel mezzo i civili, che non conoscono pace.

Poi, oltre la guerra, che distrugge ed uccide, c'è chi soccorre, aiuta, salva. Una missione non semplice quella del Centro chirurgico per vittime di guerra "Tiziano Terzani" di Emergency.

«Da quando mi sono laureato, nel 1985, ho avuto intenzione di andare a lavorare nei Paesi in via di sviluppo. Per vari motivi, perché non ero formato e, poi, per la famiglia, ho rimandato, però quest'idea mi è sempre rimasta in testa».

Un pensiero che più e più volte, negli anni, sfiora la mente di Enzo Gusmeroli, medico ortopedico di Talamona. Una carriera tra le montagne di Valtellina e Valchiavenna.

«Negli anni 2000 sono venuto a conoscenza di Emergency. Poi, nel 2010 ho maturato la decisione di fare un colloquio, così, per curiosità, per vedere se andavo bene; avrebbero potuto dirmi "no, grazie, non ha le caratteristiche che cerchiamo" e invece ero idoneo. Ero idoneo per esperienza lavorativa, per la qualifica come ortopedico, figura medica essenziale per curare le vittime di guerra, e per la conoscenza della lingua inglese, considerata "decente" e requisito fondamentale, per lavorare con personale internazionale».

«Mi hanno chiamato 2 volte nel corso degli anni, ma non sono potuto partire per motivi familiari. Finché a giugno del 2016 mi hanno proposto la missione in Libia, dove da poco era stato aperto un ospedale. Ho dato l'okay e ho avviato le pratiche burocratiche, ma a Ferragosto mi hanno comunicato che la missione veniva chiusa, perché era troppo pericoloso, non c'erano più le condizioni di sicurezza per il personale e la missione, quindi, era annullata. Mi hanno, così, proposto di andare in Afghanistan».

«Ero un po' perplesso, ho detto: "ma in Afghanistan sparano". Mi hanno risposto: "in Libia sparano di più, infatti scappiamo, è troppo pericoloso».

Una notte insonne. «Poi ho detto "ok, partiamo per l'Afghanistan", con tutti i patemi e le preoccupazioni della famiglia».

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Enzo Gusmeroli, un ortopedico in Afghanistan

SondrioToday è in caricamento