Bozzetti Sondriesi. Il Raia
Chissà quanti sanno, oggi, che l’ampio slargo all’altezza dei giardini di Villa Quadrio si chiama Raia.
I quattro angoli sono costituiti dalla suddetta area verde, da un’antica palazzina popolare, dal mobilificio Caslini e dalla casa di riposo recentemente ristrutturata e ampliata. In quest’ultimo punto c’è un’antica fontana, che dà un tocco vetusto a tutta l’area.
Si tratta praticamente di un incrocio, anche piuttosto pericoloso, tra via 4 Novembre, via Zara e via Don Bosco. Da lì si passa obbligatoriamente per prendere la panoramica che porta a Montagna, a Tresivio e a Ponte.
Quello slargo arioso io l’ho sempre considerato una piazza mancata. Quando ero bambino, i pochi veicoli transitavano prudentemente ma senza particolari vincoli di precedenza. La gente attraversava senza patemi. Molti stavano a chiacchierare sui bordi, soprattutto vicino alla fontana, magari aspettando la corriera. Era frequente vedere qualcuno che fermava una macchina, una moto o un’ape per chiedere un passaggio per Colda o Montagna.
Per me il Raia era come un punto di incontro, una specie di confine. Qui venivano a toccarsi il centro storico, la zona ancora rurale di San Rocco e la città moderna con i suoi primi condomini di cinque o sei piani. E sul luogo spiccavano i cedri di Villa Quadrio.
Quell’angolo di città era per me familiare perché ci passavo spesso, in certi periodi a cadenza quotidiana: per andare all’oratorio, per raggiungere gli zii in via Visciastro, magari venendo da via Lavizzari insieme ai miei nonni.
Nei periodi estivi, tra gli anni ’50 e ’60, Lorenzo ed io facevamo la posta alla cugina Carla, quando rientrava dallo studio del notaio Cao e passava di lì per tornare a casa sua. Era una graziosa ragazza di vent’anni, alta e magra, taciturna ma bonariamente disposta a darci retta. Lavorava in quell’ufficio e guadagnava il suo bravo stipendio. Noi mocciosi la fermavamo, scambiavamo un saluto. Poi lei ci dava cinquanta lire per comprare il gelato. La prima volta fu per sua iniziativa, ma poi divenne un’abitudine, una specie di tassa che pagava volentieri, raccomandandoci di fare i bravi e di spendere i soldi all’oratorio.
Noi piccoli esattori l’aspettavamo quasi sempre al Raia, circa una volta alla settimana. Quello ci sembrava il posto in cui non poteva sfuggirci.
Quando si rientrava da una gita con i salesiani, era al Raia che l’Ermete ordinava:
– Forza, cantiamo!
Allora i ragazzi, stravolti dalla stanchezza, davano fondo all’ultimo fiato per intonare:
– Aprite le porte, aprite le porte che passano… i salesian cun i scarpi in man.
Questo racconto è scritto da Giuseppe Novellino e fa parte della rubrica "Bozzetti sondriesi".