Bozzetti sondriesi. L'istituto femminile Santa Croce
Affacciandomi alle finestre della mia vecchia casa, in via Nazario Sauro, non vedevo esattamente quello che si può vedere oggi.
Le piante del Parco della Rimembranza erano basse. Lo sguardo, quindi, poteva spaziare in direzione nord, verso il centro cittadino. Sullo sfondo si intravvedevano le montagne del Gruppo del Bernina, con le loro ampie chiazze nevose. Svettavano in lontananza nella verde cornice del Rolla e del Carnale. Restringendo il campo visivo, apparivano il vecchio caseggiato che ospitava l’albergo Alpina, la casa del Lavatex e quell’altra, vecchia e signorile, che fa angolo con via Trieste; poi, in primo piano, appena oltre il verde del Parco, il bianco, elegante edificio dell’Istituto Femminile Santa Croce.
Quando ero bambino, giocavo in quell’area verde dedicata alle memorie patrie. Lungo il muro che la separava dalla proprietà delle suore, davamo la caccia alle lucertole. Ci piaceva farle scappare, o vederle rintanarsi con un agile guizzo. A volte le prendevamo come bersaglio (a dire il vero piuttosto difficile) utilizzando il ghiaietto fra le aiuole. Lo stesso muro veniva da noi scalato. Così ci trovavamo in bilico tra due mondi: quello del parco pubblico e quello, misterioso, delle monache. Naturalmente non ci esponevamo più di tanto, perché avevamo paura soprattutto dei vigili urbani che tolleravano appena la nostra attività ludica in un luogo dedicato ai caduti per la Patria.
L’Istituto di Santa Croce fu un elemento familiare per me che vivevo e crescevo in quella casa di via Nazario Sauro. Nel sole, sotto un cielo azzurro, oppure lavato dalla pioggia, nel grigiore della bassa nuvolaglia, esso era sempre lì, presenza monotona, ma non sgradevole, addirittura rassicurante.
Diventammo grandicelli. Mio fratello Lorenzo, appena adolescente, s’invaghì di una collegiale dell’Istituto. Una volta lo vidi affacciato alla finestra con i gomiti piantati sul davanzale e le mani strette contro le guance. Osservava con struggimento quello stabile, oltre il verde del Parco.
Oggi non sarebbe riuscito nemmeno a scorgerlo, perché completamente nascosto dagli alti e frondosi cedri che hanno trasfigurato un luogo a me caro, pieno di ricordi.
Questo racconto è scritto da Giuseppe Novellino e fa parte della rubrica "Bozzetti sondriesi".