Bozzetti sondriesi. I passaggi a livello di un tempo
Nella città di Sondrio c’erano solo quattro passaggi a livello importanti, ma molto frequentati e abbastanza pericolosi: in via Lungo Mallero Cadorna, in via Maffei, in via Bonfadini e in via Nani.
Del primo ricordo lo sferragliare dei treni già in corsa, che sbucavano improvvisamente da dietro il casello dismesso e facevano risuonare in modo assordante il ponte di ferro adiacente. Quanto all’altro, abbastanza vicino, mi lega l’immagine di me, giovane padre che abitava in via Petrini, mentre aspetta di passare e tiene per mano uno dei bambini. Quello in via Nani, invece, era famoso per i suoi tempi biblici. Quando veniva chiuso, nemmeno il Padreterno era in grado di rimettere in circolazione veicoli e pedoni prima che facesse notte.
Ma era quello di via Bonfadini la madre di tutti i passaggi a livello di Sondrio. Era sempre trafficato. Per due motivi. Prima di tutto perché sbarrava il transito a tanta gente che andava in Albosaggia, soprattutto all’epoca in cui non c’era ancora il sottopasso di via Vanoni. In secondo luogo, perché era proprio a ridosso della stazione e quindi veniva chiuso non solo per il transito dei treni ad orario, ma anche per qualche locomotore che doveva fare manovra.
Era una fortuna trovare aperto il passaggio a livello di via Bonfadini. Ma c’è da dire che il servizio veniva sbrigato in fretta, forse perché tutto avveniva sotto l’occhio del capostazione.
Vi si fermava sempre la più svariata umanità: bambini vocianti e irrequieti, più o meno accompagnati; ragazzotti a cavallo di motorette spaccatimpani; mamme con passeggini; donne con la sporta della spesa; vecchi pensionati a passeggio con il bastone; operai in tuta che fumavano nervosamente ingannando l’attesa. E c’era sempre chi faceva il furbo e passava sotto le sbarre. All’inizio degli anni ’80 finì sotto il treno un anziano. Si disse che si era trattato di un suicidio.
Quando ero bambino, il casello (ora demolito) era ancora abitato. L’addetto faceva scorrere a mano due lunghe stanghe parallele che precludevano il passaggio.
Durante la guerra, il casellante era un mio parente di Castione. Da lì assistette all’unico bombardamento sulla stazione di Sondrio. Il famigerato “Pippo” (così venivano chiamati, in tutta Italia, i solitari ricognitori anglo americani che fotografavano, ma anche sparacchiavano volentieri contro tutto ciò che si muoveva destando un qualche sospetto, fosse anche un’auto di suore) sganciò due bombe. Una rimase inesplosa, l’altra deflagrò poco oltre il nostrano nodo ferroviario.
Questo racconto è scritto da Giuseppe Novellino e fa parte della rubrica "Bozzetti sondriesi".