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Trent'anni dalla strage di Capaci, l'insegnamento attuale. La lettera della studentessa

"Cari Paolo e Giovanni...". La riflessione di una ragazza dell'istituto "Saraceno-Romegialli" di Morbegno per la recente Mostra Artistica Studentesca

Sono passati trent'anni da quando la mafia eseguiva la sua sentenza di condanna a morte contro il giudice Giovanni Falcone. E con lui, quel 23 maggio del 1992, morivano la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. Dopo 57 giorni, il 19 luglio, la storia si è ripetuta. I boss hanno eliminato il secondo nemico più pericoloso, Paolo Borsellino. Addio anche agli "angeli custodi" Emanuela Loi, Claudio Traina, Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli e Agostino Catalano.

Le due esplosioni che hanno sconvolto Palermo e l'Italia - la prima lungo l'autostrada A29 all'altezza di Capaci, la seconda in città, in via D'Amelio - hanno però innescato un effetto forse imprevisto per i boss. Quel sangue, quel dolore, quelle ferite mai sanate hanno dato la scossa a una società finora "sonnecchiante" ed è iniziato un cammino, ancora lungo, di cambiamento. Il 23 maggio è diventato il giorno della memoria e dell'impegno.

Oggi, per i 30 anni delle stragi, anche in provincia di Sondrio si ricorda quanto tristemente accaduto grazie alle parole della giovanissima Martina Bergognomi, classificatasi terza al recente Mostra Artistica Studentesca "A 30 anni dalla strage di Capaci: l'arte contro le mafie", organizzata dalla Consulta Provinciale degli Studenti. Di seguito proponiamo la lettera indirizzata a Falcone e Borsellino scritta dalla giovane studentessa della classe 4^A indirizzo turistico dell'istituto "Saraceno-Romegialli" di Morbegno.

La lettera

"Cari Paolo e Giovanni,

cosa ci fate ancora qua? È il vostro ricordo o la ricerca di un Paese libero che mi fa parlare di voi quest'oggi? Probabilmente i vostri destini cosi tragicamente intrecciati tra loro mi hanno aperto spunti di riflessione ed è stata la stima in voi il principale motivo che mi ha spinto a scrivervi seppur lontana e diversa eppure legata dalla stessa speranza ancora viva sia in voi che in me. Fino a poco fa e i giornali parlavano di voi ma erano parole vaghe fino a che tra i banchi di scuola vi abbiamo incontrato: abbiamo analizzato documenti e letto alcuni stralci dei vostri discorsi, abbiamo discusso del vostro lavoro di magistrati, del vostro desiderio di giustizia e, infine, ci siamo interrogati sulla vostra ricerca di un senso nel mondo.

Vediamo di capire meglio di cosa abbiamo parlato. Da più parti e da qualche tempo è maturata la coscienza che le mafie non possono essere considerate soltanto un problema di ordine pubblico e di carattere criminale; esse costituiscono infatti un problema nazionale e internazionale che riguarda tutta la società. Negli ultimi anni è dilagata la penetrazione delle organizzazioni mafiose nell'economia, nei settori della politica e della pubblica amministrazione, che costituiscono non solo un ostacolo allo sviluppo economico, ma anche un attentato alla libertà e alla dignità di ogni individuo.

Le mafie rappresentano un pericolo perché minano le basi della democrazia, del mercato, della convivenza civile e dell'etica umana, ciò che più spaventa è che al giorno d'oggi sono più silenziose, si infiltrano nei tessuti economici di un Paese puntando al profitto. Agli omicidi eccellenti e alle bombe dei vostri tempi si sono sostituiti incentivi di natura finanziaria: la corruzione di pubblici ufficiali e professionisti, con l'obiettivo di infiltrazione nell'economia legale del nostro paese. Per questo non è più pensabile sconfiggere le mafie solo attraverso le forze dell'ordine e la magistratura, è necessario agire su più livelli, in particolare sul terreno dell'azione di promozione sociale, di educazione e crescita culturale. Si deve puntare prima di tutto su di noi, sulle menti giovani. sugli occhi pieni di speranza, sulla generazione Z nonché adulti del nuovo mondo in cui è necessario sviluppare una forte coscienza critica e civile, un distaccamento del modello di comportamento clientelare e come tale, respinto.

Infatti, solo una coscienza civile di massa può costituire una barriera contro questa violenza, che altrimenti singolarmente costerebbe la morte di altrettante vittime innocenti. Già in passato migliaia di destini come i vostri furono sbranati dalle feroci logiche della camorra: questo è proprio quanto ha segnato la vita di Genny Cesarano, decretandone la sua morte. É la notte tra il 5 e il 6 settembre al Rione Sanità a Napoli, quando dei colpi d'arma da fuoco raggiungono Genny togliendogli la vita a soli 17 anni. Il posto sbagliato al momento sbagliato? No, Genny era esattamente dove doveva essere: con i suoi amici, nel luogo che lo ha visto crescere, in una sera di fine estate.

È per stimolare ulteriormente le menti giovanili che la Commissione parlamentare antimafia ha deciso di istituire uno "Sportello per le scuole e il volontariato" che, oltre a cercare di attivare un dialogo, rispettoso delle reciproche funzioni, tra la scuola, la società civile e le istituzioni, si propone di offrire un contributo alla promozione e alla diffusione dell'educazione alla legalità democratica e della solidarietà. Nella nostra regione Lombardia esiste una commissione antimafia, anticorruzione, trasparenza e legalità. Abbiamo avuto l'occasione di incontrare degli esperti che ci hanno parlato delle sue principali funzioni e dei suoi compiti quali per esempio il monitoraggio, attraverso l'organizzazione di incontri o audizioni, la prevenzione, attraverso indagini, I'analisi dell'impatto economico e sociale delle attività svolte dalle organizzazioni mafiose.

Come potete vedere il mondo sta cambiando e le possibilità che offre per renderlo tale sono infinite e noi cerchiamo di sfruttarle per far si che ciò che è successo a voi non si ripeti mai più. Ora però smettiamola di parlare di noi, del presente e facciamo un tuffo nel passato per ripercorrere la vostra storia.

Caro Giovanni, sono venuta a conoscenza della tua vita attraverso il libro "Per questo mi chiamo Giovanni". Una storia di un papà che vedendo un episodio mafioso accaduto nella classe del figlio Giovanni, costituisce un pretesto per un giro a Palermo, per raccontargli la tua storia ed insegnargli come sia importante denunciare chi commette un crimine, Giovanni scopre la storia di un magistrato che iniziò la sua battaglia contro la mafia negli anni '80 e che, con il maxiprocesso dell'86, riusci a mettere in ginocchio Cosa Nostra, la vendetta della mafia fu però repentina e nel '92 fu ucciso nell'attentato di Capaci, ordinato dal boss Totò. Quel magistrato eri tu e a seguito della tua morte il papà decise di chiamare il figlio Giovanni, nato nello stesso giorno dell'attentato. Questo racconto seppur elementare è uno di quelli che tutti quanti dovremmo leggere almeno una volta nella vita, Luigi Garlando fa "aprire gli occhi" sotto alcuni punti di vista, ciò che crediamo lontano alla fine lo è meno del previsto.

Caro Paolo ho conosciuto la tua storia attraverso il film "Paolo Borsellino". È il 23 maggio 1992, ricevi una terribile telefonata in cui vieni a sapere dell'attentato sull'autostrada Punta Raisi-Palermo, in cui è coinvolto proprio Falcone, così corri all'ospedale e il tuo amico ti muore tra le braccia. Nei giorni che seguono combatti contro il tempo per capire che cosa c'è dietro alla morte del tuo compagno, 57 giorni per arrivare alla conclusione che tu e Falcone siete legati da un destino comune: entrambi vi siete battuti contro la mafia e avete vinto una battaglia decisiva, divenendo il simbolo dell'Italia onesta che finalmente ha alzato la testa contro lo strapotere di Cosa Nostra.

Una battaglia combattuta con il pensiero, concetto che sembra trasparire chiaramente in "Pensa" di Moro, un vero e proprio inno alla vita e una canzone che mette in luce la ferocia ed efferatezza della mafia e, più in generale, della criminalità. Ma una guerra vinta con il "Cuore" canzone che parla delle migliaia di giovani presenti in piazza a Palermo, per i funerali di Giovanni Falcone, del loro bisogno di risposte e di protezione e della loro sensazione che il loro futuro fosse usurpato dai boss mafiosi, la diffidenza dei giovani di quegli anni, di cui Jovanotti si fa portavoce, non risparmia nessuna istituzione, compresa quella scolastica, tuttavia con una fiducia nella battaglia portata avanti dai coetanei del cantautore contro la criminalità organizzata e con speranza di un'Italia finalmente libera, stessa speranza che deve rimanere viva nei cuori di tutti noi".

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