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«Nelle case di riposo manca personale infermieristico»: la denuncia dei sindacati

Timore per la tenuta delle case di riposo di Valtellina e Valchiavenna

«Dopo mesi trascorsi in totale emergenza sanitaria all’interno delle Rsa della provincia di Sondrio, che hanno toccato con mano il dramma della pandemia, ci troviamo ora di fronte a un’altra emergenza, che si somma a tutte le altre: in molti casi manca il personale infermieristico, o è comunque sempre meno». Si apre così il comunicato a firma delle Segreterie provinciali di Cgil, Cisl e Uil, unitamente alle categorie dei pensionati e del pubblico impiego, relativo alla mancanza di personale sanitario all'interno delle case di riposo di Valtellina e Valchiavenna.

«La carenza degli infermieri è un problema in quanto tale, ma sta diventando un caso per le Rsa e le case di riposo della Lombardia e anche della nostra provincia. E’ recente il grido di allarme giunto da una importante struttura del territorio, che ha manifestato il gravissimo problema. Nel corso di un anno, molti sono gli infermieri che hanno rassegnato le dimissioni per andare a lavorare nella sanità pubblica. La fuga dalle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali è stata importante, tanto da portare le scriventi Organizzazioni sindacali, unitamente alle categorie interessate, a richiedere la riattivazione del tavolo permanente di monitoraggio sulle Rsa con il Prefetto e i vertici di Ats Montagna e Asst Valtellina e Alto Lario».

«Non più rinviabile, l’obiettivo - continuano da Cgil, CISL e UIL - è quello di socializzare un argomento che temiamo possa tradursi nell’impossibilità di garantire gli attuali livelli assistenziali e prestazioni e servizi erogati dalle strutture. Non è un mistero che il personale viene pagato meno nelle Rsa rispetto alla sanità pubblica, ma il problema non è solo questo. C’è anche un altro risvolto drammatico che non può essere ignorato: il personale che rimane a lavorare nelle Rsa, sempre meno e già fortemente provato, rischia di esplodere e non reggere i ritmi di lavoro attuali, dovendosi sobbarcare anche il lavoro di chi ha deciso di andarsene. Riteniamo pertanto urgente analizzare nel dettaglio la situazione, cercando di coinvolgere i soggetti istituzionali perché si cerchi di fare il possibile per garantire, nell’immediato, quelle condizioni dignitose di lavoro per lavoratrici, lavoratori e, ovviamente, qualità di assistenza per gli anziani ospiti ricoverati e delle loro famiglie, che rischiano di trovarsi a loro volta travolte dai rischi connessi all’aggravarsi di una situazione di questo tipo».

«La “caccia” degli infermieri da parte della sanità pubblica e privata da un lato e il tentativo di tenerli da parte delle strutture socio sanitarie e assistenziali dall’altro sono questioni dirompenti. Quella dell’infermiere è una figura essenziale, senza la quale saltano gli accreditamenti e, così, alcuni servizi devono necessariamente chiudere. Gli infermieri non si possono sostituire con gli Oss. E questo è cosa diversa dal dire che non ci debba essere un rafforzamento e una rivisitazione del ruolo degli operatori socio sanitari, percorso che sosteniamo. Peraltro, ricordiamo che gli infermieri si spostano non solo per soldi, ma anche per le aspettative professionali, per le prospettive che possono trovare soprattutto nei grandi ospedali. Avremo bisogno di affrontare il tema in termini più generali, con il coinvolgimento di Regione Lombardia e con lo sblocco del numero chiuso nei percorsi universitari. Da parte nostra, con la contrattazione all’interno dei luoghi di lavoro possiamo cercare di dare una mano in termini di valorizzazione economica di queste figure, ma non riusciremo certamente a risolvere in questo modo la situazione».

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