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Lupo decapitato, la semplice menzogna del "darsi da fare"

Troppo facile definirsi ignoranti per avere carta bianca. Le istituzioni alzino lo sguardo. La riflessione

L’amara vicenda del lupo ucciso, decapitato e mostrato come trofeo in Valchiavenna spinge ad alcune riflessioni. In primo luogo pare evidente il fallimento delle politiche messe in campo per preservare il grande predatore e favorire la convivenza con l’uomo e con le sue attività. “È la prima volta che capita”, si potrà obbiettare. Vero, il disagio tra gli allevatori valchiavennaschi, e non solo, è cosa però oramai risaputa. Sono anni che le predazioni perpetrate ai danni del bestiame allevato, da parte di orsi e lupi, proseguono. L’escalation è chiara ed evidente. Quanto accaduto è solo la spia di un malessere non più facilmente governabile. Le istituzioni sono chiamate a dare una risposta urgente ad un problema sentito dalla popolazione. I cittadini ed i lavoratori non si sentono sicuri, non lo si può ignorare. Chissà che ora la “questione lupo” non possa prepotentemente entrare nel dibattito elettorale in corso con proposte e soluzioni che vadano oltre i risarcimenti economici, le recinzioni ed i cani da guardiania.

Non si può però fingere che il gesto compiuto sia lecito e condiviso. Per quanto si possa essere dominati da rabbia e frustrazione, la soluzione al problema non può essere la “caccia fai-da-te”. Non posso fare a meno di pensare a chi abbia scelto di commettere un tale reato. Di quanto abbia “covato” l’idea di farsi giustizia da solo, di come abbia studiato l’agguato, di quanto tempo abbia avuto bisogno per stanare il lupo e per colpirlo a morte. Posso immaginare la soddisfazione di chi crede che, martoriando un cadavere per esporlo come una provocazione (o ancor peggio un avvertimento), possa risolvere la questione. Che sia stata opera di un singolo individuo o di un gruppo di persone non ha importanza. Resta il fatto che si tratta di un precedente pericoloso.

“I professori parlano, gli ignoranti sparano” hanno scritto sullo striscione insanguinato che accompagnava il macabro feticcio appeso all’ingresso della frazione di Era (Samolaco). La modestia questa volta non basta ed è pure fuori luogo. Non è possibile autoproclamarsi ignoranti per prendersi i meriti della giustizia. Essere ignoranti è un’aggravante, non un’assoluzione. Essere di modesta formazione può essere una condanna (spesso involontaria), ma non certo una giustificazione. Mettere in contrapposizione il pensiero con il “darsi da fare” è una veloce menzogna. È invece nel dialogo e nel confronto che si può ricercare verità, anche nelle situazioni più complesse.

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