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Il Parco Tartasì rischia di diventare l’ennesimo parco giochi alpino

I dubbi dello scrittore e blogger Luca Rota sulla realizzazione di un'area turistica sul conoide del torrente Tartano a Talamona

Il progetto “Parco Tartasì”, lo spazio attrattivo tra natura e tradizioni pensato dal Comune di Talamona per ridare slancio all'area del conoide del torrente Tartano, fa discutere. È Luca Rota, scrittore e blogger lecchese esperto di montagna e cultura, ad esprimere perplessità sul tema. "Se un progetto del genere venisse realizzato con criterio, ne risulterebbe qualcosa di certamente interessante. Peccato però che anche un tale progetto così ben promettente non riesca a cadere in certi 'stereotipi' che così spesso contraddistinguono l’infrastrutturazione turistica contemporanea dei territori ad alto valore culturale e ambientale come quelli montani – e se anche Talamona è situata a 300 m scarsi di quota, risulta evidente che il suo territorio abbia caratteristiche di fondovalle montano prettamente alpine. Stereotipi che inficiano non poco la validità del progetto e ne mettono palesemente in discussione i principi cardine sui quali si baserebbe". L'utilizzo della tecnologia spinge Rota ad una riflessione. "Quale memoria esperienziale vissuta viene generata da una fonte virtualizzata e dunque sostanzialmente distaccata, se non forzatamente alienata, dalla realtà concreta di ciò che si propone e, inevitabilmente, anche dalla cultura che vi sta alla base? Come può un progetto del genere essere 'fortemente identitario' se non offre che riproduzioni preconfezionate oltre che smaterializzate di tutti quegli elementi che identitari lo sono, senza dubbio, ma solo se relazionati al loro contesto naturale e autentico, non a un palcoscenico turistico dagli scopi ludico-ricreativi pur ben concepito?".

La questione "immersiva"

"Il principio di fondo mi sembra per certi versi quello di certe esposizioni artistiche interattive e/o multimediali nelle quali non vi sono materialmente le opere d’arte ma queste vengono virtualizzate e proposte in modi 'immersivi' (termine molto in voga, se ci fate caso) che di primo acchito sembrano effettivamente suggestivi ma nella sostanza mediano e alienano la fruizione reale dell’opera d’arte attraverso modalità create innanzitutto per stupire, divertire e svagare più che per insegnare l’arte e educare al suo godimento consapevole e adeguatamente approfondito. Sono esposizioni multimediali mirate su un target di pubblico parecchio generalista che inevitabilmente vengono criticate da chi di educazione e cura artistica si occupa abitualmente. Ma se nel principio si può anche ammettere che, quando molte persone non possano facilmente andare a visitare il Moma di New York (un sito museali estero a caso), siano evidentemente interessate a poter comunque godere dei capolavori là esposti in modi alternativi, più o meno interattivi e multimediali, che cerchino di 'risolvere' la lontananza e la mancanza materiale delle opere d’arte, di contro chiunque può recarsi sui monti sopra Talamona (e sulle nostre montagne in genere) per vedere e vivere realmente quella natura che nel parco si vuole meramente riprodurre e imitare peraltro in modi, ribadisco, potenzialmente disorientanti seppur proposti in buona fede. E allora perché non farlo, perché pensare di imitare una natura che si ha a disposizione con qualche mezz’ora di cammino a piedi (o anche senza un tale sforzo) la cui frequentazione genera un’autentica esperienza e un consenso nei confronti della sua specificità ambientale e della cultura identitaria che vi è conservata e vi scaturisce? Perché tra le montagne bisogna 'imitare' le montagne e smaterializzarne le realtà peculiari piuttosto di salirci sopra, magari in modo strutturato ovvero con un progetto di frequentazione turistica di matrice culturale che porti economia (insieme a ecologia) in alto invece che mantenerla in basso? Ovvero, per giunta, rivitalizzando la relazione, questa sì profondamente identitaria in senso storico tanto quanto in prospettiva futura, tra il fondovalle e le sue terre alte (a Talamona e altrove, ribadisco), così che l’intero territorio possa generare un dinamismo equilibrato ai fini di uno sviluppo completo e compiuto?", aggiunge lo scrittore.

Parco giochi alpino

Domande necessarie, secondo Rota,  se si riflette sulle potenzialità culturali concrete che "un progetto come quello del 'Parco Tartasì' deve necessariamente perseguire, ottenere e offrire ai propri frequentatori, per non rischiare di diventare l’ennesimo 'parco giochi' alpino che, in fin dei conti, le montagne che vorrebbe valorizzare rischierebbe invece di banalizzarle e deprimerne la valenza, nonché di allontanarvi i potenziali frequentatori che ambiscono – pur nelle variegate e a volte superficiali modalità contemporanee – a godere della bellezza naturale e del benessere della montagna". Infine, il lecchese esprime un ultimo e fondamentale dubbio. "Se il conoide del Tartano è considerato una zona di elevato valore paesaggistico e ambientale che necessita di tutela per la salvaguardia della biodiversità nonché, a ben vedere, una delle rare zone di rinaturalizzazione spontanea che si possono riscontrare in un territorio altrimenti altamente antropizzato e territorializzato come quello del fondovalle valtellinese, non è forse che stiamo tutti sbagliando e che in verità il migliore, più autentico e più logico progetto di tutela della zona del conoide del Tartano sia quello di non toccarlo affatto, istituendovi invece un’area di tutela ambientale il più possibile integrale, al netto delle necessarie salvaguardie idrogeologiche che le caratteristiche del luogo impone, e semmai pensando a un’altra sede meno ecologicamente 'sensibile' per il 'Parco Tartasì'? Chissà, forse è solo una mera suggestione, questa mia. Ma il dubbio al momento resta".

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