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Coronavirus, l'allarme dei medici e infermieri: «Se arriva la seconda ondata, la Lombardia non è pronta»

L'appello ai vertici delle Ats e di Regione Lombardia

Ormai si teme apertamente la seconda ondata di contagi da coronavirus, con i numeri in crescita anche in Lombardia e il nuovo Dpcm nazionale che pone restrizioni ad alcune attività, come la chiusura alle 24 dei locali pubblici. La Lombardia, "capitale" italiana del covid per contagi, è pronta? Secondo circa 600 medici e infermieri, no. 

La denuncia arriva attraverso una lettera-appello partita dalla zona di Bergamo, una delle più colpite. Ma a cui hanno aderito colleghi di altre province lombarde. La richiesta è quella di affrontare al più presto la riforma della sanità regionale, svoltando verso quella territoriale, che durante la pandemia è stato forse il principale punto debole della "catena sanitaria". Riconosciuto da tutti, anche dalla maggioranza al Pirellone, senza però che al momento sia stato posto un rimedio.

«Non basterà la disciplina della popolazione, ma servirà una risposta coordinata e lungimirante delle istituzioni. Quella messa in campo a oggi non è sufficiente»: queste le parole "come pietre" dei medici e degli infermieri che hanno scritto l'appello alla politica regionale. Un vero e proprio allarme. 

I racconti dei medici fanno capire che la medicina del territorio potrebbe continuare ad essere il "collo di bottiglia" in caso di una seconda ondata di contagi. Ad esempio, sarebbe esaurito il budget regionale per l'assistenza domiciliare da parte degli infermieri. Non è però esaurito, e potrebbe anche crescere, il bisogno di assistenza. In mancanza di quella a domicilio, la richiesta si riverserebbe inevitabilmente sugli ospedali. A cui, a Milano città, già oggi accedono soprattutto pazienti con sintomi riconducibili al covid (o a una normale influenza).

La pressione sugli ospedali sarebbe evidentemente da evitare: per farlo, occorrerebbe "gestire" i pazienti covid o sospetti covid al di fuori, ma è possibile farlo solo con la medicina territoriale, potenziandola. Perché il "collo di bottiglia" genera inefficienza anche nella gestione dei pazienti non covid, come gli oncologici, per i quali gli esami slittano, anche di settimane.

Strada (Lce): «Contact tracing a volte parte con ritardo di giorni»

Anche le Ats sembrano in difficoltà. Per esempio, sul tracciamento iniziano ad essere segnalati ritardi di alcuni giorni. Lo fa sapere Elisabetta Strada, consigliera regionale di opposizione per i Lombardi civici europeisti. «L'Ats, che dovrebbe tempestivamente contattare il paziente positivo per effettuare il contact tracing e, tramite il tracciamento, avvisare subito ulteriori potenziali contagiati che sono stati in stretto contatto con il paziente positivo, a volte dopo cinquue o sette giorni ancora non ha contattato questo paziente. Tempi davvero biblici in tempi di Covid-19».

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