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Sabato, 20 Aprile 2024
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Inchiesta camici "donati" dal cognato, i pm di Milano: «Diffuso coinvolgimento di Fontana»

Acquisiti i contenuti del cellulare della moglie di Fontana e degli assessori. I dettagli


 
 

«Diffuso coinvolgimento». Due parole, messe nero su bianco dai magistrati di Milano, che potrebbero cambiare totalmente la posizione di Attilio Fontana nel "caso camici", l'indagine sulla fornitura da mezzo milione di euro di camici e altri dispositivi di protezione che regione Lombardia ha ricevuto da parte della società Dama spa, azienda gestita dal cognato di Fontana Andrea Dini e di cui la moglie del governatore lombardo detiene una quota del 10%.

Secondo l'inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli - che tra gli indagati vede proprio Fontana e lo stesso Dini - l'affidamento diretto senza gara dell'ordine, che risale allo scorso 16 aprile, sarebbe avvenuto in conflitto di interessi e l'acquisto sarebbe poi stato trasformato in donazione solo il 20 maggio, dopo che la trasmissione di RaiTre Report iniziò a interessarsi della vicenda. Dama, per la tesi accusatoria, avrebbe voluto guadagnare cercando di vendere 25mila camici - 75mila i totali di cui 50mila donati - con un prezzo di 9 euro a camice invece di 6 euro come proposto ad Aria, la centrale acquisti regionale.

Le mascherine donate come "copertura"

Giovedì, la guardia di finanza ha acquisito i contenuti dei cellulari dei coinvolti nell'indagine: della moglie di Fontana, Roberta Dini, degli assessori lombardi Davide Caparini, Raffaele Cattaneo e di Giulia Martinelli, capo della segreteria del presidente della Lombardia ed ex compagna del leader della Lega, Matteo Salvini. L'acquisizione è presso terzi, il che vuol dire che i quattro non sono indagati.

Nella richiesta firmata dalla procura viene riportato anche un messaggio del 16 aprile in cui Andrea Dini, cognato del governatore, informa la sorella Roberta Dini, moglie del presidente lombardo. Il testo dell'sms, riportato da Ansa, sarebbe questo: "Ordine camici arrivato. Ho preferito non scriverlo ad Atti". E lei avrebbe risposto: "Giusto bene così". 

Per i pm di Milano ci sarebbe quindi "la piena consapevolezza" di Andrea e Roberta Dini riguardo alla "situazione di conflitto di interessi" nel caso della fornitura di camici e altri dpi da parte di Dama. Secondo i pm, Andrea e Roberta Dini avrebbero predisposto "strumentali donazioni di mascherine" per "precostituirsi una prova da utilizzare per replicare alle presumibili polemiche" sul conflitto di interessi sulla "commessa di camici". In un messaggio tra Andrea Dini e un responsabile di Dama il primo scrive: «Dobbiamo donare molte più mascherine... se ci rompono per le forniture di camici causa cognato noi rispondiamo così».

Il bonifico al cognato: le date

A fine luglio proprio Fontana aveva spiegato di aver saputo della fornitura di camici da parte della società del cognato e della moglie solo il 12 maggio. E inoltre proprio in quei giorni si era scoperto che era stato lui stesso - ad ora indagato per frode in pubbliche forniture - a intervenire con un tentativo di bonifico di 250 mila euro - bloccato per le normative antiriciclaggio - a favore del cognato da un conto svizzero per trasformare l'acquisto in donazione.

La rinuncia al pagamento da parte di Dama è datata ufficialmente 20 maggio, il tentativo di bonifico è del 19. Fontana aveva utilizzato un proprio conto svizzero presso l'Ubs, acceso nel 2015 con 5,3 milioni di euro provenienti da due trust alle Bahamas della madre dentista, morta a 92 anni proprio quell'anno.

La società fiduciaria attraverso cui Fontana aveva ordinato il bonifico, però, l'aveva bloccato per le normative antiriciclaggio: avevano "pesato" l'entità della somma, la causale non specificata, l'assenza di fatture di riscontro e il ruolo "sensibile" dell'ordinante, che ha un incarico politico. Così, dopo che il 9 giugno la guardia di finanza aveva acquisito gli atti, l'11 Fontana aveva comunicato alla sua fiduciaria di soprassedere con il bonifico.

La difesa di Fontana

«Poiché il male è negli occhi di chi guarda, ho chiesto a mio cognato di rinunciare al pagamento per evitare polemiche e strumentalizzazioni», aveva spiegato in aula Fontana interrotto da un lungo applauso dei suoi assessori e dei consiglieri di centrodestra. «E gli ho chiesto di considerare quel mancato introito come gesto di generosità. Poi ho considerato di alleviare l'onere dell'operazione partecipando personalmente, proprio perché si tratta di mio cognato, con una parziale copertura economica. E quel gesto è diventato sospetto, se non addirittura losco».

Fontana aveva smentito poi che la decisione di donare i camici anziché farseli pagare sia stata dovuta all'interessamento di Report: «Le prime domande della trasmissione si sono palesate l'1 giugno. Quando ho affermato di essere ignaro, intendevo appunto che ho saputo il 12 maggio». Fontana aveva continuato: «Sapevo quel che sapevano tutti, che in quel momento era in corso una spasmodica ricerca di dispositivi». Però su quella fornitura i pm e la finanza vogliono vederci sempre più chiaro. 

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